Vol 33, No 1 (2013): Hegel. “Scienza della logica”

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Il primo tomo della Wissenschaft der Logik fu pubblicato alle fine di aprile 1812; esso reca, nel frontespizio: Primo volume. La logica oggettiva. Il secondo uscì dalla tipografia nel dicembre dello stesso anno, recando però, come data, 1813; nel frontespizio, sotto il titolo, si legge: Primo volume. La logica oggettiva. Secondo libro. La dottrina dell’essenza. Che, nel tomo uscito in aprile, non fosse indicato che si trattava solamente del primo libro, la Logica dell’essere, è dovuto al fatto che, quando Hegel cominciò a passare il manoscritto in tipografia, riteneva ancora che l’intera logica oggettiva “la logica metafisica ovvero ontologica” potesse trovar posto in un solo tomo. Il terzo volume, La logica soggettiva, che Hegel sperava di far seguire immediatamente, uscì invece alla fine del 1816; e non si sa a cosa si debba attribuire la dilazione.


Sulla logica, e più su quella oggettiva che su quella soggettiva, Hegel lavorò quasi senza interruzione, dall’inizio della sua attività accademica a Jena (fine 1801) sino, letteralmente, alla morte; l’ultimo biglietto che egli scrisse (13 nov. 1831) fu per accompagnare l’invio, al tipografo, del motto latino che doveva esser messo in exergo alla nuova, e ampliata, edizione del primo volume; e l’ultimo sedicesimo delle bozze di stampa arrivò a casa sua poche ore dopo la sua morte. Di una nuova edizione, la necessità gli si era profilata intorno al 1827; ma, durante tutto il suo insegnamento berlinese (1818-1831) aveva tenuto, ogni anno, nel semestre estivo, un corso di “Logica e metafisica”; soltanto l’ultimo anno esso fu intitolato semplicemente “Logica”; come testo base per le lezioni, veniva usata la Enciclopedia delle scienze filosofiche.


Le discussioni sulla filosofia hegeliana, già iniziate quando Hegel era ancora in vita, si fecero particolarmente intense nel quindicennio succeduto alla morte. A suscitare il maggior interesse, non fu, inizialmente, la logica, ma le varie “filosofie” che la seguivano: della natura, del diritto, dell’arte, della religione, della storia. A discuterne, non erano soltanto gli avversari, ma anche coloro che riconoscevano Hegel come maestro, o almeno come colui che aveva portato a compimento la filosofia classica tedesca. Ancor prima che si rendesse esplicita la scissione della “scuola”, alcuni insistevano sul nucleo “speculativo”, “scientifico”, operando anche una confluenza tra logica e teologia; il collega e amico berlinese di Hegel, Philipp Marheinecke, che aveva pubblicato, nel 1819, un manuale universitario Die Grundlehren der christlichen Dogmatik, ne fece una nuova edizione, nel 1827, aggiungendo al titolo originario als Wissenschaft, “in quanto scienza”, ove “scienza” voleva esser sinonimo di “filosofia”. Del 1835 è il Die christliche Gnosis di Ferdinand Christian Baur, ove quel dottissimo storico della teologia riconosceva la compatibilità della filosofia speculativa con il “concetto di Dio”. Su tutt’altra strada si mettevano, contemporaneamente, altri pensatori, della nuova generazione, i quali, piuttosto che sulla “conciliazione” fra filosofia e religione mettevano l’accento sullo “svolgimento”; era ad essi inaccettabile l’idea del “sistema” come “circolo” e reputavano impossibile la coesistenza teorica di filosofia e religione rivelata. Nel 1837 D. Fr. Strauss si appellava alla Fenomenologia per negare la possibilità di tornare, dal sapere assoluto, a quello sensibile; e subito dopo (1838) L. Feuerbach intimava “guerra” a chi avesse voluto attenersi rigidamente al “sistema”. La parola d’ordine non era più “scienza”, bensì “critica”; e la critica di Feuerbach investiva anche la logica: essa non poteva venir considerata “pensare in sé”; era, piuttosto, un “pensare che espone se stesso”, con tutti gli inevitabili condizionamenti; il primo dei quali era la derivazione, e quindi la dipendenza, dai sistemi precedenti, con i quali si era confrontato. Hegel aveva avuto, sì, una intuizione originaria, ma il suo limite era stato di volerla trascrivere in forma meramente concettuale; di qui la battuta su Hegel “grammatico” della filosofia. Anche l’antico compagno di studi di Hegel, cioè Schelling, si mosse nella stessa direzione; nelle sue lezioni di Monaco ricordò che la “vecchia metafisica” aveva come fondamento l’ontologia; ed era questa, e nella sua forma deteriore (quella di Wolff), che Hegel aveva preso come modello, tentando di applicare ad essa, per renderla accettabile, il metodo genetico della filosofia della natura; non si era reso conto dell’impossibilità di trapiantare nei “meri concetti” la dinamica vitale delle “potenze reali”. Già prima, non era mancata una maligna battuta di Herbart (1827): che Hegel aveva tentato di gonfiare la sua logica con una “metafisica avvizzita”.


Nella critica alla logica hegeliana particolare peso ebbero le Logische Untersuchungen (1840) di Adolf Trendelenburg, nelle quali gli spunti critici già circolanti vennero raccolti e rielaborati. Fu Trendelenburg a prendere di petto il metodo dialettico, dichiarandolo un “grandioso errore”; fu lui a formulare chiaramente la differenza tra negazione logica e opposizione reale; fu lui a negare che le categorie logiche hegeliane avessero la “concretezza” cui pretendevano; fu lui a mettere in causa l’inizio “senza presupposti” della logica. Alle obiezioni di Trendelenburg gli hegeliani naturalmente non mancarono di replicare; il primo a farlo fu J.E. Erdmann, con il suo Grundriss der Logik und Metaphysik (1841); in campo scese anche uno dei primi discepoli di Hegel, G.A. Gabler (1842). Ma Trendelenburg, nelle edizioni successive della sua opera (l’ultima è del 1870) ribadì le sue critiche, che avevano particolare peso per la fama di cui egli godeva come gran conoscitore della logica aristotelica.


Trendelenburg fu discusso anche degli hegeliani italiani, e soprattutto da B. Spaventa (1864 e 1867); Spaventa influenzò profondamente le riflessioni sulla logica hegeliana di G. Gentile, che finì per criticarla (1913) dichiarandola una struttura aprioristica staccata dal “pensiero in atto”: essa era, al massimo, un “organo di conoscenza speculativa”; poco più tardi, nel Sistema di logica come teoria del conoscere (1917-1922) tentò di riscriverla a modo suo. Quanto a B. Croce, che tradusse la Enciclopedia, e che, con il suo Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofìa di Hegel (1907) contribuì grandemente alla rinascita dello hegelismo, egli giudicava sì la Scienza della logica il “ricchissimo dei libri”, ma ne limitò anche la portata considerandola fondamentalmente la critica di tutte le “definizioni dell’assoluto”; aggiungendo che Hegel aveva errato, nel voler recuperare quelle definizioni come categorie che si articolassero in un sistema compiuto.


In Inghilterra, e negli Stati Uniti, la logica di Hegel fu molto studiata, quasi sempre in connessione con la filosofia della religione; del 1865 è la celebre opera di J.H. Stirling, The Secret of Hegel, che recava anche la traduzione e il commento della sezione Qualità del primo libro della Scienza della logica. Il secondo libro, sulla Essenza, fu in parte tradotto in parte parafrasato (1881) da W.T. Harris, al quale si deve un nutrito volume, Hegel’s Logic (1890), che si concludeva riprendendo il problema, tanto dibattuto in Germania, due generazioni prima, della “personalità”, e come questa fosse compatibile con il sistema hegeliano. C’era del resto una certa vicinanza tra gli “ortodossi” tedeschi di mezzo secolo prima, e quelli americani, nel concepire la logica come la continuazione della ontologia; si tratta comunque di opere, quelle di questi autori, fondate su una solida conoscenza del testo, il che spiega la loro fortuna anche in Italia. L’opera di J.G. Hibben, Hegel’s Logic: an Essay in Interpretation (1902) fu tradotta nel 1910 da G. Rensi, che vi appose una Prefazione tutta ispirata al pensiero di un altro idealista americano, J. Royce. Né va dimenticato l’inglese J.B. Baillie, il cui The Origin and Significance of Hegel’s Logic (1901) fu oggetto di una lunga e impegnata recensione di G. Gentile (1904). Sia consentito, su questo argomento, di rimandare al volume del nostro compianto amico Vittorio Sainati, Idealismo e Neohegelismo, Pisa 1999.


In Germania, nella seconda metà dell’Ottocento, la Scienza della logica era caduta nell’oblio; pubblicata, nel corpus delle opere, ancora nel 1841, dovette attendere il 1923 per essere ristampata, e per giunta in modo non irreprensibile, da G. Lasson, per tanti altri lati così benemerito degli studi hegeliani. Nel 1910 W. Windelband aveva sì preso atto essere in corso una “reviviscenza” (Erneuerung) dello hegelismo, ne indicava le ragioni, ma insieme metteva in guardia contro di essa. Come che sia, quel ritorno di interesse, grande, fu stimolato in buona parte dalla pubblicazione degli inediti, “teologici” (1907) e poi del periodo di Jena (1913, 1923). Dell’edizione completa della Logica e metafisica di Jena non potè tener conto R. Kroner, nel suo Von Kant bis Hegel (2 voll., 1921 e 1924), l’opera di quel periodo nella quale il pensiero “logico” hegeliano è stato più attentamente seguito. Si è criticata tante volte, nell’opera del Kroner, l’assunto di concepire l’idealismo tedesco come un blocco teoretico compatto, come, per usare le sue parole, “una linea che si innalza in una grandiosa curva, sotto la guida di una legge ad essa immanente, ma che soltanto in essa si è distintamente espressa”; e si può aggiungere che, lodando Erdmann, Kroner segnalava la possibilità di una rivisitazione dello hegelismo ortodosso; eppure, per il vigore delle interpretazioni, e la ricchezza degli spunti, si tratta di un’opera che merita sempre di esser tenuta presente.


Nel frattempo, termini come “metafisica” e “ontologia”, già caduti in gran discredito, recuperavano dignità – basti fare i nomi di N. Hartmann e M. Heidegger. In questo nuovo clima culturale si colloca l’opera di H. Marcuse, Hegels Ontologie und die Grundlegung einer Theorie der Geschichtlichkeit (1931) che conduceva all’interpretazione della Fenomenologia attraverso la Logica – un ritmo espositivo che, quasi contemporaneamente, ispirava, per tutt’altre motivazioni, le ricerche hegeliane di E. De Negri, culminate nel volume Interpretazione di Hegel (1943).


Dopo la seconda guerra mondiale, la istituzione dello Hegel-Archiv, il formarsi, intorno ad esso, di un nucleo di studiosi di prim’ordine che attendevano all’edizione critica patrocinata dall’Accademia delle scienze del Nordrhein-Westfalia, la nascita, in Germania e fuori, di riviste specializzate, tra le quali spiccano le “Hegel-Studien”, hanno creato le condizioni per una nuova stagione degli studi; ed anche quelli sulla Scienza della logica hanno avuto un grande incremento. Chi voglia avere un quadro complessivo dello stato della ricerca, può oggi far ricorso allo Hegel-Handbuch (2010) di W. Jaeschke.


Al bicentenario della Scienza della logica sono stati dedicati molti seminari e convegni, in tutto il mondo. Sono uscite, e stanno uscendo, sillogi di studi, alle quali si aggiunge la nostra. Nel campo degli studi, non ci sono privilegi ereditari; ma, nel presentare questo volume di “Teoria”, sia lecito ricordare che non lontano da Pisa, a Bagni di Lucca, viveva un solitario hegeliano, Arturo Moni, il quale, tra il 1913 e il 1924, tradusse, per la collana dei “Classici della filosofia moderna” di Laterza, la Scienza della logica, pubblicata in tre volumi nel 1925, e più volte ristampata. Fu professore a Pisa E. De Negri, già menzionato; corsi universitari sulla Scienza della logica tenne Luigi Scaravelli, e sulla logica dell’Enciclopedia Cesare Luporini. Nell’ultimo mezzo secolo, poi, corsi universitari e dissertazioni dottorali, talune date alle stampe, testimoniano che, a Pisa, ci si è interessati alla logica di Hegel non soltanto per l’occasione del bicentenario.



Claudio Cesa
Adriano Fabris

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